L’acquisto di Versace da parte di Michael Kors fa paura ai marchi indipendenti del lusso. Inutile nasconderlo. È dura combattere da soli contro autentici imperi.
Versace, che, è bene ricordarlo, non ha ricevuto alcuna offerta da investitori italiani, si è aggiunto alla lista dei marchi caduti nelle mani del complesso sistema dominato da grandi gruppi europei, come LVMH, che ormai possiede circa 70 marchi, che vanno dallo champagne agli orologi.
L’accumulo di marchi determina risparmi di costi e vari benefici: più grande è il gruppo, più il suo potere contrattuale con i fornitori e i proprietari è importante. Chi può opporvisi?
Alle titaniche risorse finanziarie di questo leader mondiale del lusso e del suo concorrente Kering, si è ora aggiunta la concorrenza di gruppi come lo statunitense Michael Kors o il cinese Shandong Ruyi. Così, il pericolo di acquisizioni e fusioni è sempre dietro l’angolo.
Certo, alcune firme indipendenti continuano a risplendere nel firmamento del lusso, come Chanel, che, sebbene molto ambita dai suoi concorrenti, risulta essere per sua fortuna ancora tra i primi marchi mondiali del lusso in termini di giro d’affari. Ma il mercato è volatile e nessuno può pronosticare il futuro.
Meglio allora provare a mettersi al riparo, per quanto possibile, come ha fatto l’italiano Moncler che ha visto aumentare le vendite dei suoi iconici piumini puntando su e-commerce e rinnovamento dell’offerta.
Ai grossi fashion group non interessano marchi fragili, loro puntano ai grandi nomi.
Qualche potenziale bersaglio? Il britannico Burberry, l’italiano Salvatore Ferragamo e il gioielliere americano Tiffany. I tre risultano essere tra i più esposti quando le loro vendite non sono al top, anche se Ferragamo fa parte di quelle poche aziende familiari italiane come Prada i cui proprietari rifiutano da sempre di cederne il controllo.
E speriamo che resistano, per il bene del vero Made in Italy.