Si chiama “Game Changers – Reinventing the 20th-Century Silhouette” la mostra che, fino al prossimo 16 agosto 2016, al Modemuseum (MoMu) di Anversa celebrerà l'influenza che negli anni la moda dell'indimenticabile couturier Cristòbal Balenciaga ha avuto sugli stilisti di tutti i tempi, sia durante la sua fulminante carriera che dopo la sua morte avvenuta nel 1972. Impossibile prescindere da lui, impossibile dimenticare la sua lezione stilistica ed estetica. La sua è una rivoluzione che continua a far germogliare il seme nuovo di una creatività senza limiti in tanti designer che ne hanno subito, inevitabilmente, la sua influenza, soprattutto se affini a Balenciaga per coraggio e passione per la ricerca di forme e silhouette sempre nuove e, comunque, se non inedite, di certo difficili da indossare per chi ha l'anima e il cervello troppo semplice. Ci vuole anima e cuore per sfoggiare simili capolavori che nulla hanno a che fare con la storia della moda, anzi ne rappresentano quasi un’ interruzione della sua linea temporale di evoluzione così come la concepiamo. Balenciaga fu uno tsunami nel mondo della moda. C'è chi ha accolto questo suo modo di fare moda partendo da una tabula rasa, solo lui e un manichino, guerra frontale, sfida quotidiana e chi, invece, non ne ha colto l'essere così troppo oltre tutto e tutti, preferendo rifugiarsi nella tranquillità di una moda portabile, comfy e non incisiva, perfetta per chi nella massa ama confondersi e non distinguersi. Autentici terremoti per la moda come lui furono solo Christian Dior, Coco Chanel e Yves Saint Laurent. Adoravano far tremare il pianeta con le loro creazioni, ma Balenciaga è stato il meno commerciale di tutti. In inglese si dice “You play. You pay” (nel senso che “Se giochi, puoi perdere e devi pagare lo scotto della sconfitta”) e lui ha giocato coraggiosamente la sua partita dimostrandosi un vero “Game Changers”, come il titolo della mostra a lui dedicata, andando sempre controcorrente, esplorando tutto quel mondo oltre le colonne d'Ulisse dove in pochi hanno saputo avventurarsi.
I suoi erano abiti dall'allure teatrale, pura geometria, una tempesta perfetta di colori e forme che mai il mondo aveva né visto né immaginato.
Bastano le parole stesse di Christian Dior che gli rese onore in un'intervista ammettendo che la "Haute Couture is like an orchestra, whose conductor is Balenciaga. We other couturiers are the musicians and we follow the direction he gives” (“L'alta moda è come un'orchestra diretta da Balengiaga e noi altri couturier non siamo che dei musicisti che eseguono un'opera sotto la sua direzione”). Un complesso di inferiorità che almeno Dior ammise di provare difronte a tanto genio. Ma non ci vuole un genio per riconoscere un altro genio? Di certo i più eclettici designer dei nostri tempi come Issey Miyake, Martin Margiela, Rei Kawakubo di Comme des Garçons, Dries Van Noten, Ann Demeulemeester e Iris Van Herpen hanno ben carpito la portata rivoluzionaria della sua lezione, inconsciamente omaggiandolo in tante delle loro creazioni.